Cause della depressione

CAUSE DELLA DEPRESSIONE

Prima di addentrarci nei meandri della tematica specifica su cui incentreremo il nostro discorso, occorre chiarire che cosa s’intende per depressione.

La letteratura scientifica, che nel nostro caso fa riferimento al DSM (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), qualifica lo stato depressivo come un disturbo dell’umore.

Ciò che ne viene compromesso, dunque, è il tono umorale della persona che, vittima di questa patologia, risulta alterato su bassi livelli: la manifestazione palese e concreta di questo disturbo è ben ravvisabile nella predisposizione emotiva profondamente pessimistica e passiva del paziente che ne soffre.

A differenza che in condizioni fisiologicamente corrette e normali, il soggetto depresso ha una percezione personalizzata e soggettiva di sé e della propria realtà: tuttavia, la sua personalizzazione sfocia in pensieri disfunzionali e altamente squalificanti sulla propria persona e il proprio universo di relazioni e di circostanze, che gli impediscono di scindere con obiettività una reale situazione di negatività da una che non lo è. Tutto è nero, triste e irrisolvibile nella sua coscienza.

La visione psico-emotiva di pessimismo non è limitata a un solo aspetto, così come non è soltanto una la causa che induce un uomo a rintanarsi nell’isolamento della propria disposizione umorale depressa.

È congeniale, per questo motivo, parlare di multifattorialità eziologica, con cui si fa riferimento alle diverse cause che, agendo in concomitanza sinergica fra loro, comportano certe tipologie di risposte di abbattimento e disperazione estrema da parte del paziente dinanzi al fronteggiamento, o meglio all’evitamento delle contingenze temute e avvertite come minaccia.

Sono fondamentalmente quattro i fattori che, a seconda della propria natura, incidono sulla funzionalità normale di un individuo: fattori genetici e familiari, fattori biologici e neurobiologici, fattori psicologici, fattori sociali e ambientali.

Forniremo, di seguito, la definizione, la descrizione e gli effetti che essi hanno su un soggetto colpito da una patologia depressiva:

  1. Fattori genetici e familiari: la teoria genetico-familiare basa la sua attendibilità e legittimità sullo studio compiuto su gemelli monozigoti e dizigoti e su soggetti adottati: è stato provato un livello di ereditabilità del disturbo depressivo che si aggira attorno al 76%. Allo stesso modo di altre patologie psichiatriche, non comporta una trasmissione diretta, ma coinvolge più geni.

Inoltre, appare meno usuale nelle forme depressive più leggere, ma più incisiva negli esordi più precoci: si stima, infatti, che circa 7 su 10 bambini depressi tengano almeno un familiare con un disturbo umorale. Questo fatto è rilevante perchè, alla condizione di vulnerabilità genetica, va a congiungersi lo sviluppo di una relazione di disagio sfavorevole tra padre/madre e il proprio figlio, alimentando esponenzialmente l’eventualità che anche il piccolo possa subire il disturbo.

I familiari di primo grado di soggetti che sono stati/sono vittime di situazioni depressive maggiori, dunque, rischiano di cadere nella patologia da due a quattro volte in più rispetto alla popolazione generale: ciò che viene fisiologicamente preso in eredità non è il disturbo in sé, bensì la predisposizione a svilupparlo.

  1. Fattori biologici e neurobiologici: l’interscambio comunicativo tra le cellule del sistema nervoso è sorretto, in gran misura, dall’attività di sostanze chimiche scientificamente chiamate “neurotrasmettitori”. Lo stato depressivo, pertanto, sarebbe un effetto consequenziale di un’attività insufficiente di tali sistemi di neurotrasmettitori che ne compromette la normale funzionalità di alcune aree cerebrali che normalizzano il sonno, l’appetito, il desiderio sessuale e l’umore. Secondo questa teoria sarebbero tre, in particolare, i neurotrasmettitori interessati da vicino, relativamente alla loro funzione, nell’apparizione del disturbo depressivo: la serotonina, la noradrenalina e la dopamina. Il trattamento farmacologico, che consiste nella somministrazione di psicofarmaci antidepressivi, andrebbe ad agire sul bilancio generale dei neurotrasmettitori presenti nelle strutture cerebrali interne, regolandone stati emotivi, risposte a situazioni stressanti, il sonno, l’appetito e il desiderio sessuale.

Un altro elemento neurobiologico di sostanziale valore è l’asse costituito da ipotalamo, ipofisi e surrene, cioè l’asse ormonale che guida la comunicazione tra le strutture limbiche, l’ipotalamo e l’ipofisi, con il surrene. Questo asse ha fisiologicamente la funzione di dare equilibrio alle reazioni personali allo stress, stimolando il surrene a rilasciare gli ormoni glucocorticoidi, soprattutto il cortisolo. I soggetti in stato depressivo, infatti, presentano una condizione di iperattività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene e un dosaggio elevato di cortisolo nel sangue, fatti che generano conseguenze dannose per l’organismo, come: insonnia, riduzione dell’appetito, diabete mellito, osteoporosi, calo del desiderio sessuale, incremento dell’ansia, immunosoppressione, danni a vasi cerebrali e cardiaci.

Gli studi effettuati dimostrano che particolari contesti di stress prolungato possano destabilizzare la funzionalità corretta dei tre neurotrasmettitori e di far scaturire l’iperattività dell’asse con i relativi effetti che questo implica: si tratta di un fatto più evidente negli adulti, mentre nei bimbi con depressione questa relazione non è comprovata, perchè il livello di cortisolo nel sangue compare in misura consueta.

La depressione, allora, si configurerebbe come l’impossibilità da parte dell’encefalo e del sistema endocrino di dare adeguata risposta a un mutamento di vita o a una contigenza di stress che trascenda la tolleranza psicofisica dell’individuo.

  1. Fattori psicologici: una corrente di pensiero psicoanalitica connette l’insorgenza dello stato depressivo alla psicologia della persona, ovvero al suo inconscio, alle relazioni da essa instaurate con il mondo circostante: dalla famiglia alla scuola, dal lavoro alle conoscenze e alle amicizie.

Secondo una teoria basata sullo psicodinamismo, particolari situazioni di profondo trauma producono nell’Ego un conflitto psichico rilevante, che soltanto attraverso una ristrutturazione curata della personalità può essere corretto e normalizzato. Fra le cause psicologicamente traumatizzanti, si possono rilevare i mutamenti di vita, la crescita e la maturazione del paziente, l’invecchiamento, l’acquisizione di incarichi sociali o responsabilità inediti relativi, ad esempio, al lavoro o alla famiglia.

Anche una malattia fisica può provocare la manifestazione dei segnali depressivi, tra cui: un tumore, il diabete, le malattie cardiache, gli attacchi cardiaci, l’ictus, il morbo di Parkinson. In questi soggetti il fatto che innesca la depressione è la preoccupazione per l’impatto della malattia sulle loro vite: potrebbero percepirsi deboli e incapaci di combattere qualcosa che li rende profondamente tristi.

Tali esperienze e i comportamenti appresi nel corso della propria storia di vita possono rendere vulnerabili alla patologia depressiva nel momento in cui i pazienti cominciano a formulare pensieri di autosvalutazione, di inadeguatezza e di profonda disperazione rispetto a tutto, dando il là a quella ruminazione mentale deleteria che li induce all’isolamento sociale.

La patologia depressiva sarebbe, dunque, un conflitto con la propria individualità che per essere attenuato avrebbe necessità di instaurare un modo nuovo di vivere e di vedere la vita, al fine di riequilibrane le giuste reazioni alle varie situazioni vissute.

  1. Fattori sociali e ambientali: sulla psicologia della persona possiedono un ruolo di rilievo l’ambiente e la società, quali ad esempio quelle situazioni ad elevato trauma morale, vissute soprattutto durante l’infanzia, come una violenza sessuale o un abbandono.

Non solo, tra i fattori sociali compaiono anche altre circostanze che compromettono un regolare ed equilibrato dispiegamento della propria esistenza, come: la povertà economica, la disoccupazione, il licenziamento, il fallimento economico o lavorativo, i problemi con la giustizia, la separazione e il divorzio, un lutto, il mobbing sul lavoro, una bocciatura scolastica, il bullismo e in diversi casi anche l’obesità, la sedentarietà e l’omosessualità.

Negli adulti, nei quali lo stress psicofisico è più marcato per gli impegni personali e professionali, lo stato depressivo può suggellare una condizione di esaurimento nervoso e fisico scaturito da motivazioni per varia natura debilitanti e spossanti.

Uno stile di vita scorretto ha ripercussioni importanti sul corpo, dal momento che quest’ultimo si ritrova a dover smaltire un sovraccarico di stress ossidativo: tutto ciò richiede moltissime energie per potersi rigenerare, attingendole da quelle che spetterebbero agli altri apparati, compreso quello nervoso. Allora la mente, non potendo prelevare le energie per dare una reazione, si ritrova in una condizione in cui non può sostanzialmente ragionare con lucidità e concretezza.

Si ritrova così a rifugiarsi in uno stato deleterio e avverso che, nel tempo, potrebbe sfociare in uno stato depressivo.

Il disturbo depressivo, dunque, non è un prodotto di una causa unica e specifica, ma di più fattori in concomitanza fra loro: genetici, biologici, socio-ambientali e psicologici.

Per curare la patologia, oltre al trattamento farmacologico con cui gli antidepressivi intervengono sui sintomi avvertiti, risulta particolarmente efficace la psicoterapia cognitivo-comportamentale che, invece, agisce sulle cause reali alla base delle manifestazioni fisiche: i pensieri disfunzionali posti in essere dal paziente. Lo specialista metterà a disposizione del soggetto depresso le tecniche e gli strumenti adeguati e utili per conseguire l’identificazione, la correzione e la ristrutturazione completa e positiva dei meccanismi cognitivi sbagliati, da cui deriveranno stati emotivi nuovi.

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