Non curando gli attacchi di panico diventerà depressione?

NON CURANDO GLI ATTACCHI DI PANICO DIVENTERA’ DEPRESSIONE?

Molti pazienti sono interessati al legame esistente fra i disturbi d’ansia, in particolare quello di panico, e la depressione.

La richiesta più esplicita è quella legata alla possibilità di ammalarsi del disturbo depressivo: purtroppo non si può dare una risposta secca a questo quesito, ma è doveroso spiegare certe dinamiche psicologiche, a partire dalla definizione del concetto di “depressione” e dei diversi livelli che ne qualificano l’intensità d’insorgenza.

Sua caratteristica distintiva è l’abbassamento del tono dell’umore: ciascuno può viverlo in diverso modo, dai livelli bassi (ossia mancanza di energia, di entusiasmo, di voglia di fare) a un livello elevato (ossia un ritiro sociale completo).

In ogni caso, approcciandoci allo studio del pensiero del paziente con depressione, scopriamo una sfiducia marcata rispetto a quello che è il suo punto di vista verso il mondo, verso gli altri e verso se stesso.

Egli giunge a considerare gli altri come persone che possono fargli del male o che, viceversa, possono subire del male da parte sua, dunque o come fonte di sofferenza o come vittime del danno che può compiere nei loro riguardi (quest’ultimo accade quando si colpevolizza della propria condizione perché crea problemi a chi gli sta vicino, ai suoi familiari in primis).

Il mondo è visto come un posto brutto, dove non vale la pena vivere: la quotidianità è un momento completamente buio.

Il paziente non ha una visione positiva della propria persona perché, vessato dalle difficoltà e dalle sofferenze che lo tormentano, arriva a strutturare pensieri distorti, come ad esempio l’esagerazione/catastrofizzazione sulla sua condizione patologica reale, considerata inguaribile, senza prospettive felici per il futuro, una rovina per la propria esistenza.

Ritornando al tema centrale dell’approfondimento, diremo che il paziente può avere in concomitanza disturbo di panico e depressione.

Immaginiamo, ora, una persona che soffra da diversi anni le crisi di panico e che per altrettanti anni sia andata alla ricerca di cure che potessero risolverle, ma invano.

Egli è sicuramente un paziente che persegue un trattamento farmacologico, dunque quotidianamente assume dei medicinali precisi ad orari scanditi, ma ciò nonostante viene colpito puntualmente da attacchi critici improvvisi.

Egli è sicuramente un paziente che ha fatto della propria casa una tana in cui rifugiarsi e che, pertanto, ogni suo spostamento è terribilmente limitato o subordinato alla presenza e all’accompagnamento di figure fidate di sicurezza (il padre, la madre, la moglie, il marito, la sorella, il fratello, il fidanzato, la fidanzata, ecc..).

Egli è sicuramente un paziente che ha perso il posto di lavoro o che ha difficoltà a lavorare come un tempo e che, in questi anni bui, ha perso i contatti sociali e amichevoli con gente che prima frequentava assiduamente.

La sua è una vita drasticamente cambiata e ridotta nella possibilità di variare: questa configura quella base importante che lo induce ad avere una visione di se stesso non piacevole, ma malata, inguaribile e con una vita triste, sofferente e senza sbocchi, proprio come i pensieri posti in atto da un paziente tipo con disturbo depressivo.

L’andirivieni dal pronto soccorso, la ricerca continua di cure, i tentativi fiduciosi nelle nuove terapie, l’illusione di sentirsi meglio e poi, purtroppo, l’ennesima ricaduta nella crisi: un paziente con disturbo d’attacchi di panico, dunque, ha nel tempo un’alta possibilità di soffrire di notevoli abbassamenti del tono dell’umore.

È la preoccupazione continua in cui vive questa persona a condurla, prima o dopo, alla disperazione intesa come mancanza di speranza, o meglio come mancanza di voglia di sperare: i tentativi di guarigione falliti lo scoraggiano a tal punto da rifiutare ormai di ricercarne di nuovi, persuadendosi che la sua condizione di malessere psico-fisico durerà per sempre, anzi andando peggiorandosi nel tempo.

L’augurio per tutti i pazienti è di individuare la cura più adatta a sé in tempi rapidi, tuttavia l’esperienza clinica di psicoterapia cognitivo-comportamentale sul disturbo dimostra che la durata pluriennale della presenza del panico è quasi una prassi prima che la persona richieda la consulenza giusta.

Questa stessa triste esperienza di convivenza pluriennale col disturbo provoca comprensibilmente nel paziente una riduzione importante del livello di tono umorale fino a sfociare, talvolta, in una forma più o meno intensa di depressione.

Si consiglia il seguente video “Ansia e depressione: come si presentano e perchè insieme” (A cura del Dott. Pierpaolo Casto)

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