Come curare gli attacchi di panico: come affrontare e superare (senza farmaci e per sempre)

COME AFFRONTARE E SUPERARE GLI ATTACCHI DI PANICO (curare senza farmaci e per sempre)

La cura degli attacchi di panico è un trattamento reale ed efficace che vada ad operare un cambiamento e ad intervenire, modificandole, sulle cause che danno origine e mantenimento al disturbo.

Nel nostro caso, le cause principali sono da ricercarsi negli schemi cognitivi e negli errori di pensiero che il soggetto genera pensando al disturbo e, soprattutto, a se stesso esposto in una certa situazione che percepisce come possibile circostanza scatenante di una crisi.

Il trattamento elettivo per l’individuazione e la ristrutturazione di questi pensieri disfunzionali è la psicoterapia cognitivo-comportamentale. Questo approccio di cura attacca il disturbo da due fronti: quello cognitivo del pensiero e quello comportamentale del comportamento.

Va, pertanto, a correggere e modificare ciò che il paziente pensa e, di conseguenza, ciò che fa rispetto alla crisi di panico e alla percezione che ha di sé come paziente che prova questi stati fisici e psicologici.

I sintomi fisici caratteristici dell’attacco sono una conseguenza dei meccanismi mentali innescati dal soggetto che ne è vittima: egli, con estrema sensibilità, pensa che potrebbe ritrovarsi in una situazione di pericolo per la propria vita, dove potrebbe sentirsi male e avere bisogno di aiuto, ma che questo aiuto potrebbe non arrivare o non essere adeguato; motivo per cui la decisione finale è quella di evitare di esporsi al fronteggiamento della circostanza avvertita come minacciosa.

Si tratta, però, di una logica sbagliata: la strategia autoprotettiva dell’evitamento consiste nell’evitare, appunto, la frequentazione di determinati luoghi in cui potrebbe ricadere nella crisi, specie in quei posti in cui ha già vissuto degli attacchi pregressi.

Il pensiero attuato è: “Se mi sono sentito già male in passato, allora è molto probabile che mi sentirò male di nuovo esponendomi alla stessa situazione”. Ovvero immagina che evitando la circostanza, possa prevenire l’apparizione della crisi. E così facendo, si convince che sia stata la situazione ad aver causato gli attacchi precedenti, per cui dà per valida la sua strategia adottata e continuerà ad evitare quei particolari luoghi.

Lo stato emotivo, sorto attraverso le esperienze e le segnalazioni passate della crisi, che inducono il soggetto ad attuare questa forma di autoprotezione è l’ansia anticipatoria che stimola e alimenta la sensibilità personale verso una situazione che precedentemente ha fatto da sfondo all’attacco di panico, consolidandogli la credenza, quasi per relazione di causa ed effetto, che la strategia migliore sia quella di non esporsi ad una nuova occasione di rischio.

Il paziente con attacchi di panico, durante la crisi, sta male veramente e avverte svariati sintomi fisici: la tachicardia, la sudorazione, il giramento di testa, la paura di svenire e di poter morire, il senso di sbandamento. Attraverso il lavoro di psicoterapia il soggetto comprenderà che queste espressioni fisiche non sono vere, ma verosimili: sono la risposta fisica ad un certo stimolo cognitivo (a un inganno mentale) o situazionale (al luogo concreto).

Ma le cause, ovviamente, non sono legate al luogo, altrimenti se quella determinata pizzeria o quel particolare supermercato avessero determinate caratteristiche tali da determinare malessere nei frequentatori o nei presenti, quei posti sarebbero vuoti.

Non è il luogo, ma sono i pensieri che il paziente fa sul luogo – fatto che gli genera quell’ansia anticipatoria che predisporrà al malessere – alla base dello stato di agitazione psicofisica del paziente.

Per questo l’approccio di cura reale consiste nel percorso di psicoterapia cognitivo-comportamentale, anche se, spesso e volentieri, in studio si assiste al racconto di pazienti che, prima di approdare a questo, hanno seguito un trattamento farmacologico per la guarigione del malessere di panico.

Si tratta fondamentalmente della somministrazione di farmaci ansiolitici (associati usualmente agli antidepressivi) che vanno ad agire sul corpo, non sui pensieri, cioè operano in modo da sedare, finchè dura l’effetto del dosaggio ingerito, le espressioni sintomatiche che porterebbero alla crisi.

Il disturbo di attacchi di panico rientra nella famiglia dei disturbi d’ansia, per cui la causa non è fisica, ma esclusivamente psicologica: il farmaco non fa altro che allentare la mente, il che rallenta temporaneamente l’intensità di ciò che il pensiero produce, ma non lo rimuove.

Dalle esperienze cliniche in studio si può constatare che soltanto in rarissimi casi il trattamento farmacologico abbia implicato una guarigione vera del disturbo di panico.

Generalmente viene descritto che, dopo le prime assunzioni di ansiolitico (o di ansiolitico più antidepressivo), la persona cominciava a sentirsi più serena perché le crisi erano meno intense, tuttavia si sentiva al contempo addormentata in quanto sedata dal farmaco. Da quel momento, man mano che passavano i giorni e le settimane, lo stesso dosaggio del medicinale faceva sempre meno effetto e il paziente ricominciava a stare male con maggiore frequenza e intensità.

I motivi di ciò sono due:

  1. Assumendo lo psicofarmaco si inizia ad instaurare un meccanismo di tolleranza, ossia per poter raggiungere lo stesso effetto è necessario incrementare la dose: in altre parole, la stessa quantità di medicinale che prima era sufficiente a sedare i sintomi, dopo qualche tempo non lo è più. Il dosaggio consueto dello psicofarmaco arriverà, a un certo punto, a non essere bastante a tamponare il problema, per cui potrebbe rendersi necessario un incremento di assunzione di quel medicinale o l’associazione a questo di un altro farmaco. Esemplificando concretamente il discorso: un astemio, bevendo un bicchiere di vino, si ubriacherebbe senz’altro; se continuasse a bere un bicchiere di vino quotidianamente, dopo qualche giorno non gli farebbe alcun effetto e avrebbe bisogno di passare a due bicchieri per conseguire la sbornia; e ancora, dopo qualche giorno, non gli sarebbero sufficienti a raggiungere l’ebrezza e avrà bisogno di rincarare la dose alcolica, e così via. Allo stesso modo accade con l’assunzione di psicofarmaci: di tempo in tempo sarà necessaria una dose sempre più alta. Ma imbottirsi di farmaci non è la cura.
  2. Oltre alla tolleranza, s’innesca pure un meccanismo di dipendenza dal farmaco, per cui la persona che inizia a “beneficiare” degli effetti sedativi del medicinale potrebbe cominciare a cercare lo psicofarmaco come soluzione unica al suo problema, divenendone dipendente a tutti gli effetti.

Il trattamento di psicoterapia cognitiva-comportamentale disporrà il paziente nella condizione di conoscere che il farmaco non va a intervenire sulla causa reale del disturbo, cioè i pensieri, ma esclusivamente sulla conseguenza, cioè le espressioni sintomatiche che vengono sedate.

Le credenze, le svalutazioni, i riferimenti al destino sul sé e sul proprio futuro non vengono intaccati e restano pericolosamente radicati in modo forte e consolidato nella psiche del soggetto.

L’approccio psicologico per la cura reale del problema aiuta a riconoscere le cause, a comprendere gli schemi di pensiero che scatenano le crisi e insegna le tecniche e le strategie utili al cambiamento del pensiero distorto che il soggetto ha fatto di sé e del disturbo.

La psicoterapia cognitivo-comportamentale svela il legame profondo che sussiste tra ciò che la persona pensa e ciò che sente: meccanismi mentali che portano a paura conseguono emozioni di paura, di agitazione e di preoccupazione.

È bene ribadirlo ancora una volta che non è il luogo o la situazione a provocare ansia e malessere, ma il pensiero distorto che anticipa determinati scenari in cui si potrebbe rivivere una crisi di panico. Ed è “distorto” perché non è uno schema cognitivo comune a tutti: è il pensiero del singolo a costruire la pericolosità relativa ad una circostanza particolare e che per questo gli crea una situazione di allarme costante.

Se affacciandosi alla finestra si osserva il cielo nuovoloso e la pioggia, non è assolutamente detto che quella sia una brutta giornata: è quello che l’individuo pensa sulla situazione a farlo sentire felice o triste e a rendere quel giorno bello o meno bello.

Perché una giornata di pioggia potrà fornire lo spunto a restare in casa per accendere il fuoco e prepare una grigliata di carne in compagnia dei propri cari amici e familiari: così che la brutta giornata atmosferica diverrà una bella giornata dal punto di vista morale ed emotivo.

Se, al contrario, ci si focalizza sul fatto che uscendo di casa ci si bagnerà a causa della pioggia o che non sarà possibile mettersi in viaggio per la gita che ci si era prefissati di fare per quel giorno, la giornata di pioggia, attraverso i pensieri messi in atto, non può che qualificarsi come brutta.

Anche una serata in pizzeria con gli amici può divenire brutta se il pensiero dominante riguarda il fatto di poter essere vittima di una crisi di panico nel momento in cui si giungerà in quel locale e il cameriere porterà a tavola il piatto con la pizza ordinata: ci si prospetta lo scenario peggiore che non si riuscirà a mangiarla perché si starà male a causa del senso di soffocamento e di nausea, del battito cardiaco accelerato e della sudorazione avvertiti. La situazione così costruita non potrà che essere una brutta circostanza avvertita come pericolosa.

Se, al contrario, il soggetto pensa che quella serata sarà una buona occasione per divertirsi con gli amici e per gustarsi una buona pizza in compagnia, allietati dall’ascolto di una buona musica, allora sarà una situazione bella e positiva.

La psicoterapia insegna quali sono i meccanismi del pensiero e gli errori cognitivi in cui si può incappare che provocano delle emozioni negative.

Se ci chiedissimo in quanti modi la mente umana può sbagliare, saremmo tentati di rispondere in infiniti modi a seconda delle circostanze. In realtà la mente può sbagliare in dodici modi diversi perché altrettante sono le categorie d’errore: pensiero dicotomico, ipergeneralizzazione, astrazione selettiva, squalificazione del lato positivo, lettura del pensiero, riferimento al destino, catastrofizzazione, minimizzazione, ragionamento emotivo, doverizzazione, etichettamento, personalizzazione.

Le sedute consentiranno al paziente di diventare capace di riconoscere queste categorie di errore e di ristrutturarle, così facendo non si ritroverà a percepire emozioni negative di ansia e di paura.

Esemplificando una categoria d’errore, potremmo rifarci al ragionamento emotivo, secondo cui si considerano le reazioni emotive come reazioni strettamente attendibili della situazione reale. Ad esempio, decidere che siccome ci si sente sfiduciati, la situazione è senza speranza.

Un assurdo logico basato sul pensiero che “Se mi sento così (es: triste), allora è vero (che la situazione è negativa. Nel paziente con attacchi di panico questa categoria di errore si struttura nel seguente modo: “Dato che mi sento ansioso, allora è vero che entrando nel bar mi sentirò male”.

È un altro esempio tipico di ansia anticipatoria: è evidente come non sia il luogo o la situazione a far star male il paziente, bensì il pensiero che si orienta ad anticipare un futuro malessere (riferimento al destino e catastrofizzazione).

Con il riferimento al destino succitato, l’individuo reagisce come se le proprie aspettative negative sugli eventi futuri siano fatti stabiliti. Ad esempio, il pensare che qualcuno lo abbandonerà e che lo sa già, e agire come se ciò fosse vero. È il paziente che guarda al futuro col pensiero del “Lo so già”. È ovvio e naturale che se il paziente con attacchi di panico pensa di sé che starà male in determinati luoghi o situazioni, si sta già predisponendo alla costruzione distorta e disfunzionale della reazione emotiva dello stare male.

Oltre a questo, si è tirato in ballo anche la catastrofizzazione, con cui gli eventi negativi che possono capitare sono trattati come intollerabili catastrofi piuttosto che essere visti nella giusta prospettiva. Ad esempio, il disperarsi dopo una brutta figura come se fosse una catastrofe terribile e non come una situazione semplicemente imbarazzante e spiacevole. Un errore basato sul concetto di “È terribile se…”: il paziente con attacchi di panico comincia a sovradimensionare le situazioni e a vedere le situazioni temute come estremamente terribili. Un ragionamento funzionale considererebbe spiacevole il sentirsi male, ma non lo catastrofizzerebbe a terribile.

La soluzione che consente di prevenire di incappare in queste categorie d’errore di pensiero è la ritrutturazione cognitiva, ovvero la conoscenza degli assurdi logici che la mente umana può compiere e il loro riconoscimento attraverso l’applicazione di esempi illustrativi ad essi relativi.

La cura reale e definitiva di questo disturbo esiste: non è un trattamento farmacologico, ma è la psicoterapia cognitivo-comportamentale.

Questo approccio terapeutico spiega e qualifica le emozioni di paura o di tristezza provate quali conseguenza del disturbo, non come causa che, invece, appartiene ai pensieri disfunzionali del paziente.

Le tecniche di ristrutturazione cognitiva consentiranno di dare nuovi contenuti ai propri pensieri: seguiranno una riduzione graduale dei sintomi d’ansia e di panico rispetto all’intensità e alla frequenza fino al loro annullamento, e una manifestazione di emozioni di base ristrutturate in senso positivo. Il paziente che studierà e si applicherà in modo attivo nei consigli e nelle istruzioni dello specialista giungerà a provare sollievo e a conseguire la tanto sperata e inseguita da tempo guarigione del disturbo.

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