COME RISOLVERE L’ANSIA
L’ansia è un disturbo molto frequente, ma bisogna distinguere fra ansia patologica e ansia funzionale.
È usuale sentire persone parlare di sé dicendo “Sono in ansia”/“Mi sento ansioso”, ma quando riferiscono di questa condizione non definiscono quella patologica di disturbo d’ansia generalizzata, bensì la preoccupazione relativa a determinate situazioni, che invece è assolutamente normale perché funzionale ad agire nel migliore dei modi.
Ad esempio, in prossimità di un appuntamento importante, l’ansia funzionale sarà necessaria e utile a farci guardare l’orologio per giungere puntuali all’incontro; o ancora, prima di una gara sportiva, quest’agitazione servirà di stimolo e da sprone a dare il massimo tanto nell’allenamento quanto nella performance finale.
Al contrario, l’ansia patologica non è situazionale, non è proporzionale, in termini di intensità, rispetto alla circostanza vissuta e non è limitata ad essa.
Il paziente con disturbo di panico racconta di vivere in ansia e nella paura sebbene non si trovi in quelle situazioni che ritiene possano essere scatenanti di una crisi.
In questo approfondimento spieghiamo come porre rimedio all’ansia, dove con “risoluzione” non s’intende il tamponamento dei sintomi, bensì la cura reale e definitiva, nonché l’eliminazione completa dell’insorgenza di ogni tipo di manifestazione fisica tipica del disturbo in questione.
Curare il problema significa ritornare a vivere la quotidianità in maniera serena.
Quando si parla di risoluzione, ciò che alla gran parte delle persone compare come possibilità curativa, per sentito dire o per malainformazione generale, è l’ansiolitico, tant’è che la quasi totalità dei pazienti in studio racconta di aver intrapreso un trattamento esclusivamente farmacologico senza, tuttavia, risolvere in alcun modo il problema.
Magari nel periodo iniziale di assunzione del farmaco dicono di aver tratto dei benefici, ma legati sicuramente alla sedazione, perché gli ansiolitici sono dei sedativi che comportano un allentamento fra la realtà e la coscienza: in altre parole il farmaco “addormenta” la persona che, pertanto, non è pienamente cosciente rispetto alla situazione e quei pensieri che innescava in essa inducendola all’ansia, essendo “addormentata”, risultano in quantità e in intensità minore momentaneamente.
Superata la positività e l’ottimismo dell’inizio, raccontano di essere ritornati punto e a capo e di essere ricorsi ad altre cure specialistiche o ricette farmacologiche di ansiolitici/antidepressivi con principi attivi diversi rispetto ai precedenti, ma ugualmente rientranti nelle medesime classi medicinali, senza comunque porre alcun rimedio al problema.
Nessuno dei pazienti in studio, però, racconta di essersi sottoposto prima di allora ad una psicoterapia cognitivo-comportamentale.
Alcuni dicono di aver fatto psicoterapia e di non essere riusciti a risolvere, ma quando si compiono delle indagini la tipologia del trattamento seguito si concorda sempre sul fatto che l’orientamento fosse stato diverso da quello specificamente cognitivo-comportamentale.
Quest’ultimo, infatti, è il percorso di cura elettivo per porre risoluzione in modo completo e definitivo ai disturbi di ansia e di attacchi di panico.
Questo approccio terapeutico è così potente perché, a differenza dei farmaci che intervengono sul sintomo, la psicoterapia agisce su qualcosa che sta prima delle espressioni fisiche.
È ora di svelare il segreto che sottende il disturbo: i sintomi provati dal paziente con ansia e panico non costituiscono il suo vero problema.
Credendo per anni che l’unico nemico da abbattere fosse il sintomo, comprensibilmente il soggetto ha agito, anzi ha “sparato” su di esso: la tachicardia, la sudorazione, il tremore, la paura di svenire e di perdere il controllo, la sensazione di soffocamento, il timore di un infarto o di un ictus, lo spettro della morte sono tutti conseguenze dell’unico reale nemico da scoprire, correggere ed eliminare, ossia il/i pensiero/i.
Nello specifico si tratta di quei pensieri disfunzionali che il paziente fa rispetto alle situazioni: ad esempio, il problema è ciò che il soggetto pensa riguardo alla proposta di un amico/della moglie/della fidanzata/della comitiva di recarsi in un locale a mangiare una pizza; o ancora, ciò che pensa nel momento in cui si ritrova in mano un bollettino postale da pagare; oppure, ciò che pensa quando si ritrova bloccato in pieno traffico alla guida della propria automobile; o più in generale ciò che pensa nella circostanza in cui si sta allontanando da una base che reputa sicura, come la propria casa, il posto di lavoro o l’ospedale.
Il problema su cui intervenire per correggerlo risiede nel flusso cognitivo disfunzionale che s’instaura nel paziente al cospetto di determinati luoghi o di particolari situazioni: i sintomi fisici percepiti sono la conseguenza veicolata dal contenuto dei pensieri.
Questi alimentano nel soggetto la sensazione di paura, un’emozione negativa che a livello fisico si manifesta con tensione, agitazione, sudorazione, tremore, ecc.
La psicoterapia-cognitivo comportamentale insegna a riconoscere, attraverso la psico-educazione, quali pensieri sono disfunzionali, come e perché si configurano come tali: questo trattamento suggerisce delle strategie e delle tecniche di comprensione e di cambiamento cognitivo.
La logica di intervento prevede che se si applicano delle tecniche per ristrutturare i pensieri che sono la causa, inevitabilmente si va a “sparare” all’origine del disturbo e, pertanto, le conseguenze sintomatologiche non si produrranno.
La terapia cognitiva come strategia di cura permette di eliminare i pensieri sbagliati sostituendoli con quelli funzionali e avrà come risultato ovvio la rimozione del sintomo: pensieri diversi producono emozioni diverse.
Si consiglia il seguente video “Come risolvere l’ansia” (A cura del Dott. Pierpaolo Casto)
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