QUALI SONO LE CAUSE DEGLI ATTACCHI DI PANICO E COME RISOLVERE IL DISTURBO
Nel comprendere le cause che scatenano un attacco di panico è necessario cogliere il legame diretto che sussiste tra il pensiero che il paziente fa e le conseguenze fisiche avvertite.
Pertanto, le cause principali all’esordio e al conseguente mantenimento del problema sono rappresentate dai meccanismi mentali innescati dal soggetto che è vittima della crisi.
Si potrebbe procedere ad analizzare in maniera distinta i pensieri adottati dal paziente nelle prime fasi d’apparizione del disturbo, quelli posti in essere durante un attacco di panico e, infine, quelli che si sono ormai consolidati nella psiche del soggetto che da tempo ormai convive col problema.
Generalmente la prima crisi è improvvisa e inaspettata, quasi come un fulmine a ciel sereno: molti pazienti in studio riferiscono di essere stati bene fino a quel punto, quando imprevedibilmente hanno percepito un malore caratterizzato da sensazioni di soffocamento, da aumento repentino del battito cardiaco e dalla paura di svenire a causa del forte giramento di testa.
Durante le sedute si assiste a numerose testimonianze di vita completamente diverse, ma con il medesimo esito: quella di un uomo che, seduto sereno in salotto a guardare il televisore, ha cominciato di punto in bianco ad avvertire che qualcosa nel suo corpo non stesse funzionando al meglio. Una sensazione di rotazione del capo e di affondamento fra i cuscini del divano, da cui poi una vampata di calore e la tachicardia.
O ancora quella di una donna che, tornando con la sua auto dal mare insieme al suo fidanzato, ha iniziato a provare una sensazione di soffocamento che in principio ha riferito al caldo, motivo per cui ha acceso l’aria condizionata per rinfrescare l’ambiente interno dell’abitacolo, ma invano, perché non è cambiato nulla, anzi la condizione di malessere andava crescendo e peggiorando di minuto in minuto.
Qui potremmo parlare di pazienti che in un certo qual modo superano la crisi d’esordio o le prime crisi, e cercano di andare avanti isolando la situazione vissuta come un caso particolare ed episodico, non ben comprenso, ma che non si verrà più a ripetere in futuro.
D’altro canto, ci sono dei pazienti in cui il primo o i primi attacchi sono stati più importanti e intensi e che, per questo motivo, chiedono immediatamente ricorso in ospedale, perché pensano assolutamente di dover ricevere aiuto e assistenza medica.
Nella maggior parte dei casi, però, gli accertamenti clinici e fisici non portano ad alcun esito che giustifichi il malessere provato, da cui le rassicurazioni dei medici.
Il paziente, dunque, esce dal pronto soccorso emotivamente diviso in due: da un lato è felice che il suo corpo non abbia rilevato danni in alcuna sua parte, ma dall’altro è triste, dubbioso e spaventato perché effettivamente i sintomi avvertiti sono stati reali, ma di natura incompresa.
Quando a distanza di poco tempo le crisi cominciano a ripresentarsi in serie, la persona comincia logicamente a preoccuparsi: non può più considerare quanto accaduto come un fatto isolato e che non accadrà più, perché si è verificato di nuovo. Per questo comincia a sottoporsi a nuovi accertamenti medici sospinta dal pensiero di non stare affatto bene dal punto di vista fisico: visite cardiologiche, neurologiche, pneumologiche, esami del sangue, elettrocardiogramma, prove da sforzo, ecc.
Ci si consapevolizzerà, ancora una volta per fortuna, che il corpo sta bene e non è compromesso da nessun tipo di danno fisico. Ciò però non arresta l’apparizione delle crisi né tanto meno il pensiero del paziente sul suo malessere.
Il mantenimento del disturbo di attacchi di panico trova vita proprio in questi pensieri disfunzionali che il soggetto fa, caratterizzati tutti da un unico comune denominatore: la paura.
È questo, infatti, lo stato emotivo predominante nei pazienti che soffrono questo tipo di problema: è la paura di rivivere quella sensazione fisica violenta e, dunque, di esporsi a determinate situazioni.
Quest’ultima è una circostanza che si innescherà più tardi: se ad esempio la crisi è precedentemente avvenuta in un bar, in una pizzeria, in un ufficio postale o in mezzo al traffico, il paziente, secondo una sua logica tanto ingenua quanto sbagliata, inizierà a pensare che questi luoghi siano scatenanti di un attacco di panico, o più precisamente – poiché ancora non si è consci della diagnosi esatta di tale disturbo – che siano luoghi che provocano quella sensazione di malessere fisico.
Si consolida il pensiero di poter stare male e di non sapere cosa fare, di avvertire quei sintomi e di non conoscere quanto intensi e forti possano essere, che la prossima volta possa accadare qualcosa di molto grave: è un allarme continuo.
È molto interessante definire come in moltissime situazioni di cura del disturbo il paziente affermi di soffrire di questo disturbo da anni con una cadenza di una sola crisi al mese, eppure descrive la sua situazione come di malessere costante: sebbene, in media, l’attacco si verifichi un solo giorno su trenta, tutti sono visti e vissuti come infelici per questo fatto.
Ciò che si va a curare effettivamente non è la crisi o l’attacco di panico, ma è la paura della paura, quale fonte di origine del disturbo che si caratterizza propriamente per la paura di poter rivivere una situazione critica segnata da una paura ancora più intensa.
Benché l’intervallo di frequenza temporale tra una crisi e l’altra possa essere relativamente lunga, il paziente riporta in studio di vivere una situazione di male costante, motivo per il quale generalmente evita di fare determinate cose o di frequentare certi luoghi.
Attraverso la psicoterapia sarà possibile analizzare e approfondire i pensieri che il soggetto con disturbo di attacchi di panico fa su di sé, ad operare un distinguo tra i meccanismi cognitivi preliminari alla crisi e quelli contemporanei all’attacco, così che potrà essere capace di cogliere i legami che sussistono tra psiche, emozioni ed effetti fisici.
È il pensiero distorto del paziente a chiamare e ad attrarre la crisi attraverso lo stato d’animo di paura.
In conclusione, va ribadito il fatto che la cura reale e definitiva di questo disturbo esiste: è la psicoterapia cognitivo-comportamentale, che innanzitutto fornisce al paziente una conoscenza adeguata del problema di cui è vittima da tempo.
Questo approccio terapeutico, inoltre, spiega e qualifica le emozioni di paura o di tristezza provate quali conseguenza del disturbo, non come causa che, invece, appartiene ai pensieri disfunzionali del paziente. Le tecniche di ristrutturazione cognitiva consentiranno di dare nuovi contenuti ai propri pensieri: seguiranno una riduzione graduale dei sintomi d’ansia e di panico rispetto all’intensità e alla frequenza fino al loro annullamento, e una manifestazione di emozioni di base ristrutturate in senso positivo.
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Si consiglia il seguente video “Attacchi di panico: la cura definitiva” (A cura del Dott. Pierpaolo Casto)
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